“Il Forteto è stata un’esperienza drammatica, per molti aspetti criminale, retta da persone (Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi) non equilibrate, con seri disturbi dell’affettività e della sessualità; un’esperienza caratterizzata da regole assurde, crudeli”.
Lo scrivono i giudici nelle quasi mille pagine delle motivazioni della condanna a Rodolfo Fiesoli (17 anni e mezzo per abusi e maltrattamenti) e ad altri 15 membri della comunità (per maltrattamenti). Le motivazioni ripercorrono tutte le costrizioni e le violenze psicologiche nei confronti di minori affidati e altri ospiti della comunità mugellana, fino alle molestie sessuali compiute dal “profeta” Fiesoli. “Il Forteto, fin
dal suo nascere, aveva le caratteristiche tipiche di una setta”, argomentano i giudici che poi si soffermano sulle sponde istituzionali della cooperativa, spiegando che il sistema pubblico “ha mantenuto costantemente aperta una linea di credito illimitata verso l’esperienza educativa e pedagogica del Forteto”, nonostante i primi arresti di Fiesoli e Goffredi nel 1978. Un credito “ribadito dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile che, ancora nel 2012 (dopo gli arresti di Rodolfo Fiesoli, il capo indiscusso di quella comunità), ha ‘confermato’ affidamenti famigliari a favore di alcuni soci della cooperativa; da amministratori pubblici e da esponenti politici che hanno garantito sovvenzioni e sostegno istituzionale”. E proprio su questo fronte oggi in consiglio regionale ha votato l’istituzione di una nuova commissione d’inchiesta per far luce sulle responsabilità istituzionali e politiche intorno alla vicenda Forteto. Polemiche per la scelta del presidente: le opposizioni rivendicavano per sé il ruolo, come avviene quasi sempre nelle commissioni d’inchiesta, ma il Pd ha imposto Paolo Bambagioni.
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